Gabriele Buratti. Panorami Inquietanti
La sua formazione comincia in un liceo artistico per continuare alla facoltà di architettura del Politecnico di Milano. Ci sono aspetti dei suoi studi (in particolar modo degli studi universitari) che, secondo lei, sono stati fondamentali per lo sviluppo della sua attuale produzione artistica?
Si, la città da una parte, i luoghi selvaggi dall’altra, in mezzo il paesaggio antropizzato. E’ questa la tematica di cui mi sono sempre occupato: osservare quali comportamenti e quali accadimenti siano connotati da un paradigma selvaggio e quali il risultato di una cognizione civile e consapevole.
Presenta la sua personale da Movimento Arte Contemporanea con un titolo che non lascia presagire buoni auspici... Quali aspetti dell'inquietudine contemporanea ha voluto sottolineare?
L’inquietudine è la mia. Nel mondo di oggi avverto un’incapacità nel pensare ad uno sviluppo alternativo a quello capitalistico – economico. Ci muoviamo verso mete imposte senza sapere che cammino vogliamo intraprendere e senza chiederci che costo avrà tutto questo in termini di preservazione della diversità come valore assoluto.
Lo sviluppo delle città attuali (vedi Pechino, Abu Dhabi, Milano…) avviene con l’unica prerogativa di uno sviluppo immobiliare paesaggistico verticale, senza tener conto delle differenze geografiche e storiche.
Direi che è piuttosto visibile il contrasto tra naturale e metropolitano... Perché questi accostamenti tra animali (spesso esotici) e grandi metropoli?
Gli animali sono il paradigma di una logica tutt’altro che ambientalista. L’essere umano non ha ( ancora? ) la facoltà di trovare la misura ideale dell’abitare in quanto non ancora pienamente convinto che un rapporto simbiotico con la natura sia la condizione sine qua non per riconcepire l’architettura.
E i codici a barre? Cosa vogliono sottolineare in questi contesti?
Sono il simbolo dell’occultazione di ciò che potrebbe essere riconosciuto alla vista, una sorta di linguaggio, e il linguaggio è potere. Il codice a barre in questi contesti è un monito sul pericolo che la nostra società corre autoreferenziandosi attraverso il nulla dei contenuti che la sostengono: immagine e ripetizione infinita di cose uguali, prerogativa delle logiche di mercato, quindi del sistema economico. Anche l’immaginario estetico-visivo corre questo pericolo.
In questo periodo si è confrontato con spazi espositivi in sostanza molto differenti tra loro: la “vetrina storica” dello spazio Bocca, la galleria Movimento Arte Contemporanea e lo spazio Gucciardini, sempre nel capoluogo lombardo, nella collettiva Il mito del vero. Situation in cui la sua opera andrà ad interagire con le opere di altri artisti. Come ha rianalizzato e rivisitato il suo lavoro nelle tre diverse situazioni?
Le prime due situazioni non hanno diverse premesse rispetto l’argomento trattato… “Situation”mi ha fatto pensare allo spirito riflessivo di un filosofo come Mario Perniola che aderì e scrisse del situazionismo in Italia e al moto di ricerca ed osservazione che mi spinge ad approciare il circostante da più punti di vista.
Ha già in programma nuovi progettii?
Si, penso al silenzio del bosco in relazione al contesto urbano nell’ottica delle mostre per le quali devo iniziare a lavorare da settembre.
Elena Baldelli