CRITICA

 

Gabriele Buratti - Buga - nasce a Milano nel 1964, laureato al Politecnico in Architettura del Paesaggio, sviluppa negli anni interesse per i carattere fisici, antropici, storici e strutturali del territorio che influenzerà profondamente la sua opera di pittura, scultura e fotografia.

La sua ripresa di moduli, ormai sintetizzati in un percorso che altri storici hanno già richiamato come neopop, localizzando stilemi classici del nostro tempo, avvia un radicamento con la storia sociale ed economica. Basti ricordare cosa fu del pop negli anni Sessanta del Novecento, quando per l'appunto una serie di artisti misero in cornice certe icone del loro tempo, attrici, oggetti, persino la nascente Coca Cola.

Ancora oggi c'e' chi come Gabriele Buratti vuol significare la sua storia artistica con le immagini delle città europee e statunitensi come Londra in primis e New York, o la passerella di quella che vorrebbe essere una sorta di icona urbanistica, quasi presa a prestito da un settimanale o da un depliant turistico.

I suoi dipinti contengono anche un marchio, che marchio non e', perche' e' un vero e proprio codice a barre, lo stesso che troviamo sui prodotti, e che segnano la produzione del nostro tempo, caratterizzata da un forte consumismo. Ebbene, proprio questo marchio e' diventato un'icona, un segno, un'immagine forte che ruota quasi sempre nei dipinti del nostro artista, dando di lui un'idea forte della sua arte che non e' avulsa dalla storia degli ultimi anni, di quella storia economico-sociale che ha dato ai paesi occidentali e capitalismi processi accelerati.

A questi segnali va aggiunto come il Buratti campioni le scenografie dei suoi dipinti con toni brunati, qualche volta nerastri, come fossero dipinti che hanno raccolto paesaggi persino sironiani. Questi toni, queste fumie, queste nebbie che svaporano bianchi cirri su fondali anneriti non tralasciano emozioni culturali forti, diventano le nuove magie del terzo millennio, e ci dicono come ancora oggi l'arte descriva il proprio tempo senza tralasciare il cuore della poesia.

Carlo Franza